Progetto "Inferno - Dante in jazz"
 

I più antichi biografi di Dante, a cominciare dal Boccaccio, parlano dell’amore di Dante per la musica: e non poteva essere altrimenti per un poeta vero, sensibilissimo al bello, che aveva aperto ad ogni espressione e ad ogni soffio della vita. Dante conosceva la musica, e ne parla con precisione di linguaggio e con termini tecnici e conosceva bene le norme e le definizioni scolastiche; quando parla di canto dimentica sia numeri sia proporzioni per lasciar parlare solo il sentimento e la sensibilità.
 

Specialmente si sente nella sua opera massima l'elevato concetto che aveva dell'arte. L’opera divina si può paragonare ad una maestosa cattedrale, in cui tutto è simmetria, numero, proporzione, armonia assoluta: il numero delle cantiche, quello dei canti, quello dei versi in ciascun canto, la distribuzione simmetrica degli episodi e delle profezie du­rante tutto il Poema attestano l'elevato senso di armonia che risonava nell’animo di Dante e dal quale egli non poteva in alcun modo prescindere, essendo l'armonia il substrato della sua coscienza. Quell’armonia connaturata con il Poema Divino, che non ha ancora svelato il suo l'intimo segreto.

 

L'armonia interiore di Dante non è tuttavia manifestazione di armonia musicale, ma spessissimo il Poeta fa ricorso alla musica ed ai suoni per accrescere l’efficacia della sua arte, con effetti di armonia imitativa, combinazioni particolari di sillabe ed accenti, cambiamenti d'into­nazione, variazione dei ritmi o combinazione di fenomeni luminosi con feno­meni sonori. Tali effetti non erano ricercati, ma atto spontaneo di chi concepiva il mon­do come armonia.

Nell'inferno non sembra di sentire musica; nel regno delle tenebre eterne il canto o il suono di uno strumento musicale potrebbe lenire il continuo tormento delle anime. Dante, nella sua narrazione, accenna solo a pochi strumenti: zampogne, campane, il corno di Nembrod che sente durante tutto il viaggio, il liuto.

Nel Medioevo si aveva una certa varietà di strumenti che i musicisti dell’epoca (come i trovieri ed i trovatori), avevano ereditato dall’antichità. Una serie di strumenti, che si erano mantenuti nel tempo, come l’organo da chiesa, considerato il re degli strumenti, l'arpa, il liuto, la chitarra, la tiorba, il mandolino, la viola a cinque corde, la rota (specie di violino), la ribeca, il ribecchino, la giga. Ed ancora: la cetra il salterio, l’organistro a manovella, il flauto, i corni ritorti, le cornamuse, le bombarde, i cornetti, le trombe e i tromboni, il clarino.

 

Dante conosce bene gli strumenti; sa come si suonano e sa l'effetto che da ciascuno si può avere. Ad esempio, sa bene che spesso il suono dell'organo soverchia la voce del cantore. Nel suo viaggio, accenna a strumenti musicali ed ai loro suoni, ma non li fa suonare per i regni ultraumani. Egli affida le sue manifestazioni musicali alla voce “umana”: lo strumento perfetto che permette di conoscere l’esatto significato delle parole: melodia ed armonia, che Dante impiega sempre nel loro senso preciso: concatenazione di suoni che esprimono un significato.

Nel Medioevo, il canto si presentava sotto un duplice aspetto; dotto o popolare. Il primo era il canto delle chiese, il secondo quello delle strade e delle piazze. Il primo aveva le radici nel canto grego­riano, inizialmente monofonico poi polifonico, base di quella musica sacra che Dante attribuiva a principi, a re, ad imperatori, tanto da rappresentarli come cantori dell’Arte Musicale.

 

La musica sacra continuava anche ai tempi di Dante ad essere rappresentata dal canto gregoriano, grazie alla sua grandiosa maestosità e vitalità le cui manifestazioni sonore si possono trovare in molti passi del Poema Divino.

La musica gregoriana possedeva ritmo, anche se con poca misura, era permeato di dolcezza e di solennità, ed era in continua evoluzione dottrinaria.

Ma anche la musica popolare, fuori dai chiostri e dalle chiese, accompagnata dai suoni dei liuti e delle viole era più che mai vitale, pur non curandosi né di dottrina, né di misure, né di norme, ma soggiacendo agli umori di questi primitivi musicisti, arricchiti dagli stimoli dell’ambiente in cui vivevano.

E' verosimile che come alla poesia popolare si sia sovrapposta quella eletta, cosi alle prime frasi musicali e alle prime strofe di carattere prettamente popolare, si siano poi sovrappo­ste canzoni con un vero schema e quindi con un ritmo.

Nel XIV secolo, Firenze era il centro di ogni attività intellettuale e fu la culla di quella Ars Nova Florentina, che rinnovò l’arte musicale dandole espressività ed umanità.

 

Il “Progetto Inferno- Dante in Jazz” nasce agli inizi del 2004 da una idea di Federico Cerrai, che ha pensato di tradurre in musica la prima cantica della Divina Commedia di Dante: l’Inferno. Come si è visto sopra, in epoca medioevale la poesia veniva recitata appoggiandosi ad una struttura musicale sacra (ad esempio i canti gregoriani), o profana, eseguita con gli strumenti musicali dell’epoca. Dante, che come abbiamo visto, conosceva il significato di melodia ed armonia, è ricorso ad una costruzione letteraria “musicale”, proprio perché il suo poema potesse essere “cantato“ in pubblico.

L’autore del “Progetto Inferno - Dante in Jazz” ha quindi cercato di leggere i versi danteschi come una sorta di sequenza di “note musicali” scritte sul pentagramma. La lettura dei versi in questa ottica, ha portato F. Cerrai ad impiegare meccanismi diversi per tradurre le parole in musica jazz:

-) associazione di una parola ad una nota musicale

-) associazione di un gruppo di parole ad una nota musicale

-) associazione di un gruppo di parole ad un gruppo di note musicali.

 

I primi due meccanismi hanno dato origine ai temi, mentre il terzo ha prodotto gli accordi e le scale sulle quali ogni brano è stato costruito.

Impiegando questo sistema, il significato intrinseco della parola o di un gruppo di parole trasmuta il suo senso verbale iniziale in un altro più ampio e completo. Alla o alle parole vengono infatti caricate valenze diverse sulla base della sequenza di note che sono state create dall’autore.
I brani ottenuti sono stati scritti seguendo diverse costruzioni jazzistiche (II-V-I o AABA o Blues ecc.).

L’autore ha inoltre cercato di dare ad ogni brano una colorazione emotiva, che fosse il più vicino possibile alla “commozione” che Dante voleva, musicalmente, suscitare nel lettore, come la paura, il terrore o l’odio, ma anche la gioia e l’amore, come traspaiono in vari passaggi.

Inoltre, le due figure preminenti della cantica, lo stesso Dante ed il suo accompagnatore Virgilio, sono state associate e vengono identificate da 2 successioni di 4 note, che si ritrovano con una certa frequenza in tutta l’opera musicale.

 

Il “Progetto Inferno - Dante in Jazz”, si compone di 643 titoli, alcuni dei quali raccolti in vere e proprie suite. I primi 10 brani sono stati composti da F. Cerrai assieme al sassofonista Luca Ciceri. Successivamente, F. Cerrai ha proseguito nel progetto da solo, avvalendosi della collaborazione del pianista Alessandro Bruni in qualche brano, e concludendo l’operazione compositiva nel 2012. Tutti i brani sono depositati.

L’idea dell’autore è che tale opera possa essere rappresentata ovunque ed in qualunque situazione, avvalendosi di gruppi di musicisti (da 1 solo elemento, fino ad un’orchestra di 20) essendo ogni brano strutturato in modi differenti.

 

Nel settembre 2006 i primi 9 brani furono eseguiti in quintetto nella serata conclusiva del Festival Jazz di Livorno. Attualmente, il gruppo che propone queste composizioni risponde al nome “Codice Dantesco” ed è costituito da:

Roberto Favilla: pianoforte,

Davide Bianchi: chitarra,

Francesco Cossano: sax tenore e soprano,

Federico Cerrai: basso,

Alberto Levi: batteria.

 

Questo nucleo può essere integrato di volta in volta da altri musicisti (es. tromba, clarinetto basso, vibrafono, percussioni, ecc.). sulla base della struttura di ciascun brano.

Federico Cerrai